Avv. Antonello Calabria - Brescia

 

FAQ

 

L’avvocato deve prima di tutto saper risolvere i problemi pratici dei clienti.
Per questo motivo, faccio qualche esempio di quesiti molto frequenti, fornendo una brevissima risposta sulla base delle mie conoscenze e della mia esperienza pratica nel foro di Brescia.

Diritto delle obbligazioni e dei contratti

1. Un oggetto acquistato on line è arrivato difettoso a Brescia: avvocato chi paga la restituzione?

La normativa in materia di vendita al consumo prevede che in caso di bene difettoso, l’acquirente abbia diritto ad ottenere la riparazione o la sostituzione della merce entro tempi ragionevoli e senza spese, ivi comprese le spese di spedizione, che pertanto rimangono a carico del venditore.

2. Avvocato, posso disdire il contratto telefonico in ogni momento senza pagare alcuna penale?

Il cd. “decreto Bersani” del 2007 ha stabilito che l’utente possa recedere dal contratto senza vincoli temporali e senza ritardi ingiustificati, ma anche “senza spese non giustificate dai costi dell’operatore”: non può quindi essere imposto il pagamento di alcuna penale.

3. Il mio aereo è arrivato in ritardo di due ore e mi ha fatto perdere una coincidenza: avvocato, ho diritto ad essere risarcito anche se non ho raggiunto le tre ore di ritardo indicate dal sito della compagnia per il risarcimento?

I siti delle compagnie aree parlano di 3 ore, in quanto il Regolamento Europeo del 2004 in materia richiede almeno tre ore di ritardo per ottenere automaticamente il diritto al risarcimento. Tuttavia, ciò non esclude che si possa comunque ottenere un risarcimento, rivolgendosi ad un avvocato che, in applicazione della Convenzione di Montreal del 1999, dovrà dimostrare i danni subiti (provando il ritardo del primo aereo e il danno provocato dalla perdita del secondo).

diritto delle obbligazioni e dei contratti

 

Diritto commerciale e fallimentare

1. Un fornitore mi ha chiesto a garanzia della merce un assegno “post datato”: ora che l’ho consegnato cosa rischio avvocato?

Non ci sono rischi di azioni penali: si tratta di un comportamento sanzionabile al più per evasione dell’imposta di bollo (dovuta per le cambiali).
Semmai il rischio è un altro: e cioè che il soggetto che l’ha ricevuto lo ponga all’incasso senza attendere la data indicata e pertanto per evitare protesti occorre assicurarne la provvista in banca.

Non c’è invece il rischio che il portatore dell’assegno, dopo l’eventuale protesto, si rivolga ad un avvocato ed avvii una procedura esecutiva sulla base dell’assegno post datato, che non può valere come titolo esecutivo. Dovrà ottenerne uno in via giudiziale.

2. Ho un credito verso una società SNC: avvocato cosa posso fare per recuperarlo?

Laddove si vanti un credito nei confronti di una SNC si può agire sia nei confronti della società stessa, che dei suoi soci personalmente. Tuttavia, per agire contro i soci, bisogna prima provare ad instaurare tramite il proprio avvocato una procedura esecutiva nei confronti della società e solo in un secondo momento, una volta fallito questo tentativo, si potrà tentare anche verso i soci.

3. L’azienda per cui lavoravo è fallita: avvocato ho speranze di recuperare almeno il TFR?

Esiste un Fondo di Garanzia INPS destinato proprio al TFR dei lavoratori nel caso in cui il datore di lavoro fallisca. Tuttavia, prima di poter presentare domanda a questo fondo, bisogna dimostrare di essersi rivolti ad un avvocato per effettuare un tentativo di recupero nei confronti del fallimento.

diritto commerciale

  

Diritto di famiglia e delle successioni

1. Avvocato, qual è il modo più economico per separarsi e divorziare?

In presenza di determinate condizioni, è possibile separarsi o divorziare senza bisogno di alcun avvocato, presentandosi semplicemente all’ufficio di stato civile del Comune.
Le condizioni sono le seguenti:

1) Non ci devono essere figli non economicamente autosufficienti.
2) La coppia deve avere trovato un accordo su tutti gli aspetti, sia personali che patrimoniali.
3) L’accordo non può disciplinare i trasferimenti patrimoniali tra coniugi, come ad esempio l’assegnazione della casa o la divisione dei beni.

Se ricorrono tali condizioni, non vi è dubbio che questa sia la procedura più economica, non richiedendo nemmeno di rivolgersi ad un avvocato.
Ma se tali condizioni non sussistono, è necessario avvalersi di un avvocato per ottenere un provvedimento giudiziale, sia esso di omologa dell’accordo o di pronuncia della sentenza.

In tale contesto, la modalità senza dubbio meno onerosa è la separazione consensuale, in quanto entrambi i coniugi si potranno avvalere del medesimo avvocato senza duplicare i costi.

2. Dovrò per forza pagare un assegno di mantenimento a mia moglie se ci separiamo? E se così fosse di quanto sarà avvocato?

Sono dei quesiti che qualunque avvocato si è sentito formulare almeno una volta.
Ebbene, l’obbligo di pagamento di un assegno di mantenimento di un coniuge nei confronti dell’altro non è affatto automatico.
Tale decisione viene presa dal giudice guardando al caso concreto e valutando se uno dei due coniugi è economicamente “più debole”, ad esempio perché (come accade tipicamente alle mogli) la formazione professionale e la carriera sono state “sacrificate” in favore della famiglia.

Ovviamente, si tratta di un assegno ben distinto da quello destinato ai figli non autosufficienti.

Nell’ambito di una separazione consensuale, occorrerà quindi disciplinare questo aspetto con l’aiuto dell’avvocato comune per i due coniugi, in ruolo sostanzialmente di “mediatore”, se si vuole che l’accordo venga poi omologato (cioè confermato) dal Tribunale di Brescia.

A quel punto la questione che si pone ai coniugi e all’avvocato è la seguente: di quale importo deve essere l’assegno di mantenimento?

Ebbene, la legge non disciplina in modo dettagliato questo aspetto, che pertanto è stato regolato nei fatti dalla giurisprudenza, con la seguente evoluzione:

1) Per anni, i Tribunali (compreso quello di Brescia) hanno applicato il principio secondo il quale l’assegno di mantenimento dovesse essere determinato in modo da consentire al coniuge beneficiario di mantenere lo “stesso tenore di vita” avuto durante il matrimonio, a prescindere dalla possibilità di vivere in modo dignitoso ad un importo inferiore.

2) Successivamente, la Corte di Cassazione con una sentenza del 2017 ha superato tale principio affermando che il presupposto dell’attribuzione dell’assegno di mantenimento è la mancanza di adeguati mezzi economici da parte dell’altro coniuge, con la conseguenza che l’assegno andrà commisurato a quanto necessario per il sostentamento.

3) Infine, sul punto si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione per risolvere il contrasto, affermando che la consistenza del diritto all’assegno di mantenimento va valutato in base ad un “criterio composito” che tenga conto anche del “tenore di vita” goduto durante il matrimonio, ma, non in modo indiscriminato, bensì in considerazione degli sforzi che il coniuge beneficiario ha fatto nel corso della vita familiare con il proprio lavoro domestico.

In altre parole, il nuovo principio che deve guidare i coniugi e il loro avvocato è quello del “tenore di vita” commisurato però a quanto il coniuge abbia “investito” sulla famiglia.
Si tratta in ogni caso di un aspetto molto controverso ed infatti è in esame in Parlamento una proposta di legge per disciplinare in modo più preciso l’ammontare dell’assegno.

3. Ho tradito mia moglie: avvocato rischio che mi tolgano i figli?

La giurisprudenza ha chiarito che l’aver tradito il proprio coniuge non costituisce di per sé un motivo sufficiente per l’assegnazione dei figli in via esclusiva all’altro coniuge.
La preferenza normativa rimane infatti chiaramente orientata nel senso dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, con un “collocamento prevalente” presso uno dei due.
Sotto tale profilo la giurisprudenza tendenzialmente opta per il collocamento prevalente alla madre, ma a fronte di un’adeguata disciplina della frequentazione da parte del padre.
Sarà ovviamente compito dell’avvocato raccogliere le rispettive istanze dei coniugi per tentare di definire nel modo più “equilibrato” possibile questo delicatissimo aspetto.

diritto di famiglia 

 

Risarcimento dei danni per sinistri

1. Una macchina mi ha tamponato, ma non sono riuscito a prendere la targa: cosa posso fare avvocato?

In linea teorica, esiste uno strumento di tutela che non richiede nemmeno di rivolgersi ad alcun avvocato né di fare causa.
Infatti, per l’ipotesi in cui un sinistro venga provocato da un veicolo non identificato (o non assicurato), esiste un “Fondo di Garanzia”, gestito in ciascuna Regione da una Compagnia assicurativa, alla quale è possibile richiedere il risarcimento dei danni patiti.

Attenzione però: in caso di veicolo non identificato sono risarcibili solo i danni alle persone; quelli alle cose possono essere risarciti oltre i 500 Euro, solo in caso di danni gravi alle persone.

La lista delle compagnie assicurative a ciò deputate e la modulistica necessaria per la richiesta sono disponibili sul sito della Consap.
Niente avvocato, quindi, almeno sulla carta.

Va però precisato che in caso di veicolo “non identificato”, l’onere della prova in capo alla vittima è abbastanza oneroso perché, pur non essendo necessario sporgere denuncia contro ignoti, è necessario dimostrare che il veicolo danneggiante non era identificabile con l’“ordinaria diligenza”.
In tale contesto, sebbene la presentazione della richiesta sia di per sé semplice, è comunque prudente l’ausilio di un avvocato per prevenire le contestazioni della Compagnia competente.

So a cosa stai pensando: “ogni avvocato dirà così perché vuole guadagnare”.

Sul punto, quello che mi sento di dire è questo:
1) se ritieni di poter fornire da solo prove sufficienti per dimostrare quanto detto sopra, sei liberissimo di procedere autonomamente senza nemmeno sentirlo un avvocato;
2) se però hai anche il solo minimo dubbio, fatti aiutare da un avvocato a concepire la richiesta: il costo del suo compenso in sede stragiudiziale sarà ampiamente ripagato dalla riduzione del rischio di contestazioni da parte della Compagnia competente.

Ai fini di tale decisione, mi permetto di segnalare che la giurisprudenza è divisa su cosa debba intendersi col fatto che il veicolo danneggiante non doveva essere identificabile “con l’ordinaria diligenza”: talvolta, infatti, i giudici hanno ritenuto che la distrazione conseguente al sinistro sia un motivo idoneo a giustificare la mancata annotazione della targa; altre volte invece i Tribunali hanno escluso l’applicazione del Fondo affermando che tale distrazione non è sufficiente.
E come questo, esistono vari altri aspetti controversi: sei proprio sicuro di volerti assumere la responsabilità? Non è meglio delegarla ad un avvocato?

2. Avvocato, posso essere risarcito se sono inciampato in una buca per strada?

Un avvocato interrogato sul punto, se vuole dare una risposta davvero seria e trasparente, deve rispondere che non esiste una risposta certa.
Dipende da una serie di fattori.
In linea teorica, l’ente amministrativo o il soggetto privato a cui spetta la custodia della strada dovrebbe rispondere dei danni da questa provocata ai sensi dell’art. 2051 del codice civile.

Tuttavia, la giurisprudenza (anche del Tribunale di Brescia) ha più volte chiarito che, in caso di difetti evidenti del manto stradale, il soggetto tenuto alla gestione della strada non può rispondere anche per la semplice “distrazione” dell’utente. Ma non per tutti i soggetti, perché ovviamente se si tratta di una persona anziana, la sua capacità di rendersi conto del pericolo non è quella media.

In tale contesto, è quindi evidente che il parere di un avvocato può essere reso solo sulla base delle specifiche circostanze del caso.
In altre parole, l’avvocato non può davvero esprimersi sulle possibilità di successo “sulla carta”, ma deve poter valutare:

1) la dinamica dei fatti;
2) lo stato dei luoghi;
3) le caratteristiche del soggetto infortunato.

3. La mia vacanza è stata un disastro: avvocato posso ottenere un risarcimento?

Il cd. “danno da vacanza rovinata” è il tipico esempio di danno che non si concretizza necessariamente in una perdita patrimoniale.

Ad esempio, se la vista della camera dell’Hotel non è il mare (come promesso), ma il retro di un ristorante, dal quale magari provengono anche dei cattivi odori, c’è una perdita patrimoniale?

No, non c’è: però senza dubbio c’è un danno risarcibile.
Si tratterà certamente di danni molto più difficili da dimostrare e quantificare rispetto ad una “semplice” perdita patrimoniale.
Ma è questo il compito dell’avvocato: chiarire al giudice come il vedersi “rovinare” la vacanza provoca un danno di tipo non patrimoniale, consistito nel fatto di aver vissuto in modo stressante una periodo di tempo destinato al relax.

E quanto vale questo danno?
Beh, lascia fare all’avvocato, è lui che deve trovare il modo di quantificare il danno sulla base del tuo specifico caso e di argomentare in giudizio tale quantificazione.

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Diritto condominiale

1. Avvocato, ma devo pagare le spese per riparare l’ascensore anche se abito al piano terra?

Se si arriva a rivolgere questa domanda ad un avvocato è perché si ritiene che il pagamento delle spese per la riparazione di un ascensore da parte del condomino che abita al piano terra sia un’ingiustizia.
In realtà, la legge prevede che, seppur in misura ridotta, anche chi abita al piano terra debba contribuire alle spese di riparazione dell’ascensore condominiale.

In particolare, il codice civile prevede che:

1) la metà delle spese vada divisa in proporzione al valore degli immobili;

2) l’altra metà sia da ripartire in base all’altezza dell’immobile da terra, principio che ovviamente andrà in favore di coloro che abitano al piano terra, essendo l’altezza dei loro appartamenti da terra sostanzialmente pari a zero.

Inutile quindi rivolgersi all’avvocato se si punta a non pagare alcuna somma.
L’unica speranza che il contenuto della norma possa essere derogata in favore di chi abita al piano terra è l’ipotesi, francamente abbastanza improbabile, di una delibera UNANIME dell’assemblea condominiale in tal senso.

2. Se altri condomini non pagano, l’impresa edile può chiedere a me le spese per una ristrutturazione?

Ogni avvocato si è sentito chiedere almeno una volta: cosa succede se gli altri condomini non pagano le spese di una ristrutturazione e io sì?
Il timore è evidente e legittimo: non è che il creditore del condominio (in questo caso l’impresa edile che ha fatto i lavori) poi potrà agire nei miei confronti per la parte mancante del suo credito, quando io ho già pagato la mia quota?

Ebbene, mi dispiace dover dare questa informazione, ma in determinate ipotesi è proprio così.

Nel 2012, infatti, dopo anni di contrasti giurisprudenziali, è stata introdotta una norma che prevede per il terzo creditore del condominio la possibilità di agire anche nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, se la sua iniziativa esecutiva nei confronti dei condomini morosi si è conclusa senza successo.
Ti sembra un’ingiustizia? Si tratta di una norma in effetti molto controversa, ma come dicevano i latini “dura lex, sed lex” (è una legge dura, ma è legge).
Ad ogni modo, questo non vuol dire essere completamente privi di tutela.

Se si subisce un’iniziativa esecutiva da parte del terzo creditore, potrà comunque essere utile chiedere all’avvocato di verificare due aspetti fondamentali, e cioè:

1) che il creditore abbia prima agito senza successo nei confronti dei condomini morosi;

2) se esistono delle vie esecutive percorribili per rivalersi nei confronti dei condomini morosi.

Nel primo caso, se il creditore ha agito direttamente nei tuoi confronti l'avvocato potrà eccepire in giudizio il cd. “beneficium excussionis”, cioè il beneficio di essere attaccati per secondi.

Quanto al secondo aspetto, non si tratta di una valutazione semplice, perché se il creditore ha già agito nei confronti dei condomini morosi e non ha ottenuto nulla, probabilmente ciò è dovuto anche al fatto che questi non hanno patrimoni aggredibili.
Insomma, fai un tentativo, ma non chiedere all’avvocato di fare miracoli: purtroppo di fronte alle scelte del legislatore non si può fare altro che adattarsi.

3. Per fare una veranda sul balcone ho bisogno del consenso dell’assemblea avvocato?

Anche questo è un quesito molto spesso sottoposto ad ogni avvocato, anche a causa di informazioni contrastanti provenienti dagli stessi uffici tecnici dei Comuni, anche della Provincia di Brescia.
Molti Comuni, infatti, inseriscono tra i documenti necessari per ottenere il permesso di costruire una veranda sul balcone di un condominio, anche la delibera dell’assemblea condominiale che acconsenta alla costruzione.

In realtà non è così.

Questo perché il balcone è una parte dell’immobile di cui il proprietario può disporre in via esclusiva, e non una parte comune a tutti i condomini, per la quale occorrebbe la previa delibera dell’assemblea (peraltro con le maggioranze espressamente previste dalla legge).

In altre parole, “a livello teorico” il condomino è libero di costruire una veranda sul proprio balcone; “a livello teorico”: ecco la prudenza dell’avvocato nel rispondere.
Prudenza che si rende necessaria in quanto esistono almeno due eccezioni, ossia:

1) il caso in cui il cd. “Regolamento Condominiale” (se firmato o richiamato nell'atto di acquisto) espressamente escluda questa possibilità per motivi di “decoro”;

2) successivamente ai lavori, l’assemblea condominiale ritenga (con le maggioranze opportune) che la veranda non sia rispettosa del famoso “decoro”.

Ecco dunque che l’avvocato non potrà limitarsi a dire “certo che puoi costruire”, ma dovrà aggiungere: “assicurati che gli altri condomini non abbiano nulla da ridire”: l’ideale sarebbe sottoporre prima la questione all’assemblea, ma per ragioni di opportunità, non di obbligo!

Diritto delle locazioni

1. Avvocato, da inquilino posso installare il condizionatore se il proprietario non provvede? Ma poi le spese restano a mio carico se lascio l’immobile?

Ecco una questione che nei momenti più “bollenti” dell’anno diventa spesso oggetto della valutazione di ogni avvocato. Capita spesso, infatti, che l’inquilino si ritrovi ad avere necessità del condizionatore, lo chieda al proprietario di casa ma questi non provveda.

Di fronte a questo rifiuto l’inquilino cosa può fare?

Partiamo da un presupposto di base: il conduttore può apportare delle modifiche all’immobile se queste sono necessarie per il suo godimento.
Quindi, la risposta alla prima domanda è: sì l’inquilino può installare (a sue spese) un impianto di condizionamento (ovviamente rispettando le eventuali regole, in caso di condominio).

Ma che dire del secondo quesito: cosa accade se poi l’inquilino lascia l’immobile?

Per rispondere a questa domanda l’avvocato deve partire dalla disciplina prevista in tema di locazioni, che distingue in particolare tea le cd. “migliorie” e le cd. “addizioni”:

1) le migliorie sono opere che apportano al bene locato un aumento di valore, senza che queste possano essere separate dall’immobile (es. un nuovo rivestimento della cucina);

2) le addizioni sono invece opere che migliorano il bene locato ma che, pur unendosi a questo, possono essere almeno teoricamente separate dall’immobile locato.

Tale distinzione è rilevante perché la disciplina della ripartizione delle spese tra conduttore e locatore è molto differente:

1) in caso di migliorie, il conduttore non ha diritto all’indennità, a meno che non via stato il consenso del locatore (non una semplice tolleranza ma proprio il consenso espresso;

2) per le addizioni, invece, il consenso del locatore non è rilevante: l’indennità è dovuta solo se il proprietario preferisce trattenere le opere.
In questo contesto, quindi, il consiglio dell’avvocato dovrebbe essere il seguente.

Installa pure il condizionatore, ma se ritieni di poter lasciare l’immobile tra non molto tempo hai due opzioni:

1) essere sicuro di poterlo asportare senza danneggiare l’immobile e di poterlo utilizzare altrove (cosa non sempre certa);

2) parlane con il locatore e assicurarti che lui abbia interesse a trattenerlo, fissando magari un’indennità in base al numero di anni in cui verrà utilizzato.

Se ti aspettavi una risposta più semplice dal tuo avvocato, mi spiace di doverti deludere, ma l’applicazione della legge nella vita quotidiana quasi mai lo è.

2. Se al termine della locazione, l’inquilino mi restituisce l’immobile danneggiato, cosa posso fare avvocato?

È una delle grandi paure di chi concede un immobile in locazione: che questo gli venga restituito danneggiato.
Certo, si potrà chiedere all’avvocato di avviare una causa volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti, ma che dire del fatto che l’immobile non potrà essere messo di nuovo in locazione fino a quando non sarà riparato?

Seguendo i normali principi previsti dall’ordinamento, l’avvocato avrebbe l’ingrato compito di informare il cliente del fatto che difficilmente questo danno potrebbe essere risarcito.
Questo perché bisognerebbe dimostrare che esistono altri soggetti interessati alla locazione, ma che non è possibile procedere in tal senso a causa dei necessari lavori di ristrutturazione.

Ma la Cassazione ha ritenuto che l’applicazione di questo principio generale al caso di specie non fosse equo ed ha quindi fatto una fondamentale precisazione.
Ha chiarito che in caso di immobili danneggiati che richiedano un periodo di ristrutturazione, il proprietario avrà diritto non solo al risarcimento dei costi necessari per i lavori, ma anche al pagamento dei canoni pattuiti per tutto il periodo di tempo necessario ad ultimare i lavori.
In pratica la Suprema Corte equipara il periodo di ristrutturazione ad un ritardo nella restituzione e con ogni probabilità la giurisprudenza di merito di Brescia si adeguerà a tale conclusione.

In tale contesto, l’avvocato potrà quindi proporre con soddisfazione di agire non solo per il risarcimento dei danni patiti, ma anche per il “mancato guadagno” derivato dal fatto che per un certo periodo l’immobile non è stato messo in locazione.

3. Avvocato, se si rompe il rubinetto del lavandino chi deve pagare l’inquilino o il proprietario?

Può sembrare una banalità, ma ogni avvocato sa che non sono cose per nulla scontate.
Se si rompe il lavandino, chi paga la sostituzione?
L’inquilino, perché è lui ad utilizzarlo quotidianamente? Oppure il proprietario, perché la casa in fin dei conti è sua?
Quesiti come questo vengono proposti in abbondanza ad ogni avvocato, perché nella quotidianità dei rapporti tra il locatore e l’inquilino si pongono spesso dubbi di questo tipo.
Se non è il lavandino sarà la maniglia della porta o la tavoletta del wc e così via.

Ebbene, per rispondere a questa domanda l’avvocato deve introdurre al cliente i due concetti fondamentali di “ordinaria” e “straordinaria” manutenzione.
Questo perché la prima spetta all’inquilino, mentre la seconda va posta a carico del proprietario.

Semplificando molto i concetti si può dire che:
1) l’ordinaria manutenzione si riferisce ai piccoli interventi che si rendono necessari per la normale usura dei beni domestici (ad esempio una porta che inizia a cigolare).
2) la manutenzione straordinaria fa invece riferimento agli interventi “eccezionali” che si rendono necessari per problemi più “strutturali” non riconducibili alla normale usura (come ad esempio la sostituzione di una caldaia).

Ecco dunque che l’avvocato a cui viene posto questo quesito deve rispondere stabilendo a quale tipo di manutenzione sia riconducibile l’intervento in parola.
Ebbene nel caso di specie, può sembrare esagerato o assolutamente scontato; sta di fatto che la sostituzione del rubinetto viene considerata manutenzione “straordinaria” e quindi andrà posta a carico del proprietario.

Se si hanno dubbi come questi, è sufficiente chiedere all’avvocato una piccola consulenza: non sarà costoso come si pensa (stiamo parlando di un consulto davvero minimo), ma toglierà un dubbio che nella vita quotidiana tutti gli inquilini e tutti i locatori si porranno almeno una volta.

diritto immobiliare, condominiale e delle locazioni

 

Attività stragiudiziale

1. Per scrivere un contratto serve un avvocato?

Facciamo subito chiarezza: per scrivere un contratto non è obbligatorio rivolgersi ad un avvocato. L’ordinamento, infatti, ne impone l’intervento solo con riferimento alle cause.
E allora perché sobbarcarsi il compenso dell’avvocato anche per un contratto?
Per rispondere a questo quesito, occorre secondo me partire dallo scopo da perseguire con la stipula di un contratto.
Un contratto va stipulato per regolare un rapporto e per evitare che possano sorgere contrasti.

La struttura del contratto deve quindi essere concepita in modo tale da disciplinare gli aspetti più rilevanti, che altrimenti, con un accordo orale, rimarrebbero “in sospeso”, con il rischio che in caso di contrasti si debba chiarire l’eventuale questione sorta con una causa.

E perché serve l’avvocato per fare questo? Perché l’avvocato conosce bene i possibili contrasti.
E quale miglior modo per evitare i contrasti che conoscerli?

Ecco dunque che rivolgersi ad un avvocato per la redazione di un contratto è un “investimento” intelligente, perché il compenso per quell’attività non è nemmeno lontanamente vicino all’entità dei danni che si possono subire nell’eventualità di una vicenda sfociata in una causa.

2. Perché far leggere la corrispondenza ricevuta ad un avvocato?

Ci risiamo.
Eccomi di nuovo a dover evidenziare l’importanza del ruolo dell’avvocato.

Ribadisco per l’ennesima volta che non lo faccio per difesa della categoria o per aumentarne i guadagni, ma per onestà intellettuale. E per onestà devo dire che se si riceve una lettera (da parte di un avvocato ma non solo) occorre accettare che sia meglio farla almeno leggere ad un avvocato.
Lo dico perché ogni avvocato sa che è meglio dare la risposta più “prudente”. E nel caso di specie la risposta più prudente è senza dubbio dire al cliente che è meglio togliersi il dubbio che il “non far nulla” possa provocare danni irreparabili.

Mi spiego.

Quando si riceve una lettera, molti preferiscono “nascondere la testa sotto la sabbia”: in altre parole, ignorarla.
In realtà questa scelta può essere davvero pericolosa perché a volte l’ordinamento impone dei limiti temporali per alcune iniziative.

In altre parole, rivolgersi all’avvocato solo quando la lettera è magari sfociata in una causa può essere troppo tardi. A quel punto, ad esempio, potrebbe ormai essere decorso il termine per recedere dal contratto, per denunciare un vizio o per evitare una prescrizione.
E in alcuni casi non si sono “seconde possibilità”: non c’è più nulla da fare.

Meglio insomma fare un piccolo sforzo e accettare di portare la lettera da un avvocato: magari non servirà, ma sei disposto a rischiare?

3. Far scrivere una lettera ad un avvocato è così importante?

Molti pensano che far scrivere una lettera ad un avvocato serva solo per “spaventare”, per far capire che il prossimo passaggio sarà fare una causa.
In realtà, la lettera di un avvocato può avere delle funzioni ben diverse.

Può sembrare banale, ma l’avvocato può aiutare a “fare ordine”.
Perché mentre le vicende si svolgono le persone possono fare confusione sugli istituti rilevanti (non è il loro lavoro) e, spinti dalle migliori intenzioni, possono scrivere lettere che dal punto di vista giuridico non hanno nulla a che vedere con i fatti.

Queste lettere non soltanto non serviranno a nulla, ma potrebbero addirittura essere dannose.
Mi è capitato, ad esempio, che un imprenditore di Brescia, convinto in buona fede di avere ragione (e in effetti vantata un consistente credito), abbia commesso un reato, formulando sostanzialmente una minaccia con una lettera.

In un caso del genere, l’avvocato può essere in grado di lanciare il medesimo messaggio (paga quando devi, altrimenti ti farò causa), evitando però i rischi di una reazione emotiva che mal si adatta con le valutazioni lucide e tecniche che sono invece necessarie in casi come questi.

 
avvocato brescia - citazione


Piero Calamandrei
(Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, 1935)

 

 

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